APPLICAZIONI CLINICHE

(Stampa elenco di alcuni articoli da pubmed:mindfulness+depressione https://dl.dropboxusercontent.com/u/4819010/Pubmed%20Mindf%20Depress.pdf)

Il programma MBSR di Kabat-Zinn (1994) si è sviluppato negli anni ottanta all’interno degli ospedali della Boston University utilizzando campioni clinici di ampio raggio: dalle patologie somatiche come la psoriasi, la fibromialgia, le sindromi da dolore cronico, alle patologie psichiatriche come il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da panico e il binge-eating disorder.
Le ricerche contribuiscono a dimostrare che i trattamenti mindfulness-based sono efficaci per una varietà di disturbi psicologici e fisici (Baer, 2003; Shapiro, Carlson, Astin & Freedman, 2006). Dai risultati di questi studi si evince che la mindfulness è collegata alla capacità di autoregolazione emotiva e più in generale al benessere psicologico (Brown & Ryan, 2003).
A partire dagli anni novanta, diversi terapeuti hanno iniziato ad inserire pratiche di mindfulness nei trattamenti cognitivi e comportamentali di una vasta gamma di disturbi clinici, come il disturbo ossessivo-compulsivo (Schwartz, 1996), il disturbo d’ansia generalizzata (Roemer & Orsillo, 2007; Wells, 1999), il disturbo post-traumatico da stress (Wolfsdorf & Zlotnick, 2001), il disturbo da uso di sostanze (Marlatt, 2002), i disturbi dell’alimentazione (Kristeller & Hallett, 1999; Telch, Agras & Linehan, 2001), il disturbo borderline di personalità (Lineah, 1993a-b).
Un recente studio di Goldin e Gross (2010) mette in luce l’effetto della meditazione mindfulness nella fobia sociale, disturbo caratterizzato da bias emozionali e attentivi e da ‘distorsioni negative autoriferite’, utilizzando strumenti di neuroimaging quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Gli scienziati hanno valutato gli effetti della mindfulness durante l’attivazione delle distorsioni appena citate, evidenziando:
(a) miglioramenti rispetto ai sintomi ansiosi e depressivi e nell’autostima,
(b) diminuzione delle emozioni negative esperite,
(c) riduzione dell’attività a carico dell’amigdala, e
(d) incremento dell’attività corticale nelle aree del cervello coinvolte nei processi attentivi durante la pratica mindfulness basata sulla respirazione.

Recentemente Bishop e collaboratori (2004), allo scopo di operazionalizzare la mindfulness, hanno proposto un modello a due componenti, cui l’adozione di un atteggiamento di ‘accettazione’ dell’esperienza e l’autoregolazione attentiva (Lau et al., 2005). Secondo Kristeller, Wolever & Sheets (2008) tali componenti possono aiutare i pazienti con disturbo alimentare a spostare la loro attenzione dal cibo, dall’immagine del corpo e dalla concezione negativa di sé, ‘sganciandosi’ da questi contenuti anziché sopprimendoli.
Un altro ambito di applicazione della mindfulness è quello delle dipendenze (Miller and Rollnick, 1991).
Altri risultati promettenti riguardano gli studi che indagano gli effetti della mindfulness nel trattamento del trauma (Becker & Zayfert, 2001; Cloitre, Cohen & Koenen, 2006). Secondo Follette e collaboratori (2006) anche in questo caso la mindfulness favorisce l’ ‘accettazione’ e riduce l’evitamento esperienziale; inoltre rappresenta uno strumento che facilita l’esposizione agli stimoli temuti aumentando la consapevolezza psicologica e la flessibilità delle risposte emotive.

Brown and Ryan (2003) hanno evidenziato che a livelli maggiori di mindfulness sono associate minore impulsività e ostilità. Heppner e collaboratori (2008) dimostrarono diminuzioni anche nella rabbia, nell’ostilità e nell’aggressività verbale.Già in un articolo del 2001 Arnold suggeriva la meditazione come possibile trattamento dell’ADHD, ed ancora prima, rispettivamente nel 1983 e nel 1987, gli studi di Kratter e Moretti-Altuna ne dimostravano gli effetti come miglioramento comportamentale in un campione di bambini ADHD dagli 8 ai 12 anni.

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